I miei siriani

I miei siriani
Tonino 5 marzo 2016.
I tuoi siriani, i suoi siriani, i nostri siriani, i vostri siriani, i loro siriani. Al declinarli in questo modo, ogni possessivo apre un capitolo di corresponsabilità. Dopo la nuova guerra in Libia, declineremo con: i miei libici, i tuoi libici, i nostri morti, i loro morti, ecc…
In questa indotta situazione, per quanta fantasia abbiamo non riusciamo ad intravvederci la mano del fato, o che si possa chiamare solo petrolio. Non rischiamo nemmeno di pensare che la Siria sia sotto embargo occidentale (siamo anche noi, sono nostri) da cinque anni, e solo questo è già un disastro umanitario. Non hanno la forza ideologica di Cuba, anche perché tutti, con armi alla mano, vi hanno scorazzato impunemente, senza essere invitati, Onu o meno. Mai nessun paese è stato invaso in contemporanea da così tante nazioni, tutte socie della Siria nell’Onu.
Al Parlamento europeo, Gianni Pittella (capogruppo Pd), ha semplicemente costatato il luogo comune: “la situazione inumana nella quale dei rifugiati, degli esseri umani, vivono in Grecia o a Calais” (perché in altre parti stanno da re) e chiede “un’assistenza umanitaria urgente” da parte della Ue, cioè di se stesso. Sapendo, tra l’altro, che è già stata concessa dalla Commissione. Solo tempestività di apparire. L’assistenza sarà i miliardi, a noi negati, che daranno a Erdogan.
Anche gli Usa, che ovviamente in medio oriente non c’entrano nulla, chissà perché cominciano ad inquietarsi. Il segretario di stato, John Kerry, dopo il suo giretto commerciale per una bella vendita di armi a tutti, e un buon “consiglio” sul da farsi a Renzi, ha parlato di “crisi mondiale” e non più “regionale” per i rifugiati in Europa. Ryan Crocker, ex ambasciatore Usa in Iraq e in Siria, ha sottolineato i rischi “esistenziali” che corre l’Europa, di fronte al “flusso di rifugiati” che potrebbe portare al “disfacimento dell’Europa come costruzione politica”. Loro non c’entrano e non è quello che volevano (sic!). Non sono i loro, adesso sono nostri i siriani.
L’Onu (un altro organismo che non c’entra nulla nelle guerre americane di Obama, se non altro per servilismo all’impero, omissione e tacito consenso) con il suo Alto Commissariato ai rifugiati, pontifica che l’Europa “è sull’orlo della crisi che essa stessa ha ampiamente provocato”. Giustamente, oltre gli americani (sempre che non c’entrano nulla) bisogna ringraziare i guerrafondai (a volte anche “socialisti”) francesi e inglesi. Noi seguiamo sempre a ruota, anche se questa volta, per la Libia, ci hanno spinto in testa, per solidarietà e corresponsabilità di club guerrafondaio. Niente Pilato questa volta.
La Ue pensa di sfuggire alle sue responsabilità con i soldi. Grande fantasia, ma cosa potevano pensare d’altro, (magari spingere a far cessare questa guerra), e in cambio di cospicui finanziamenti, spera di subappaltare ad Ankara il ruolo di guardiano e massacratore dei candidati all’esilio. Tutte le destre sono propense, non possono dirlo ufficialmente, a massacrarli per impedire il loro infido “viaggio”. Si rivolgono al boia Erdogan, pagandolo profumatamente. D’altra parte si fa lo stesso con i sicari e i mercenari. Poi una volta nelle tendopoli, in nome della caccia al “terrorista”, vai a vedere che succede. I siriani potranno scegliere di morire a casa sotto le bombe o “all’estero”, chissà come. Ma possiamo immaginare che Erdogan, manico del coltello in mano, non si accontenterà dei soldi, vorrà la copertura politica di neutralità per i suoi efferati bombardamenti in casa d’altri e poter continuare il genocidio curdo. A noi che importa, basta che fermi i rifugiati, nevvero? E poi siamo tanto amici insieme nella Nato.
La Grecia, sotto scacco e sotto ricatto, non può fare altro che accettare le proposte e i soldi. Ma questi non saranno gestiti da loro. Non si fidano, mentre di Erdogan sì, è sufficientemente nazista. E poi le forti tensioni che scaturiranno tra un popolo allo stremo e i rifugiati, che avranno almeno da mangiare, non potrà che fare bene, razzismo in salita, ad Alba Dorata. Un po’ come dai noi per Salvini, con slogan realistici che fanno presa: “Gli italiani in povertà e senza casa, e gli immigrati che vivono in ressort”. Anche se gestiti dalla malavita. Quelli sono i loro, e si può dire anche in termine di possesso. Ma per la Grecia il problema continua ad essere la Merkel. A metà marzo si vota in tre grandi lander tedeschi e l’impatto economico-psicologico dei rifugiati, in un primo momento accolti a “braccia aperte”, lascia intravvedere possibili e grandi incognite. Non è detto che non accetti di spingere la Grecia fuori da Shengen, anche se spergiura di no, quasi come un paese non Ue-land, dandogli quattro soldi, ricompattando però i paesi balcanici, più interessanti. Ci sarebbe poi anche la possibilità di chiudere fuori dai confini i macedoni e i bulgari recalcitranti. Sono deboli, sono paesi candidati all’adesione al paradiso Unione, facilmente ricattabili.

Per la Grecia poi rimane sempre valido, per taluni esponenti tedeschi ed anche europei, il concetto, dopo averla divorata, della Grexit, cioè cacciare questo paese irrecuperabile malgrado tutti i “consigli” ricevuti; non si può chiedere indietro 1 euro in più per ogni euro prestato. Non esiste matematicamente e quindi non ce la faranno mai. In quel paese poi gli animi si stanno scaldando troppo e abbandonare quel “comunista” convertito di Tsipras al suo destino di spergiuro non dispiace politicamente alla troika di Bruxelles. Così imparano anche spagnoli e portoghesi.
Diceva un generale italiano in Istria: “I prigionieri affamati sono più ubbidienti”. Possiamo aggiungere tranquillamente che vale anche per i popoli.
Lo stesso Consiglio d’Europa considera la Francia a rischio per la diffusione di “discorsi di odio” e “constata un aumento considerevole del discorso di odio e, soprattutto, della violenza causata da razzismo e intolleranza”, con una crescita di “atti antisemiti e islamofobi”. Mi sa che pure i nostri amici di Israele non c’entrano nulla nella situazione siriana. L’estrema destra continua a mietere consensi, malgrado il socialista Hollande mostri i muscoli con i deboli e cioè lo sgombro feroce e iniquo del campo profughi, “la giungla” di Calais. Risultato, ora i 3.500 immigrati sono diffusi dappertutto sul territorio, pronti a ricongiungersi altrove per solidarietà di gruppo, cosa che succede sempre ai diseredati. Un numero ridicolo se si pensa che più di 130mila persone hanno già attraversato il Mediterraneo nei primi due mesi di quest’anno, per sfuggire dalle guerre, e molti sono diretti, volenti nolenti, dopo aver capito che in Italia non c’è più trippa per gatti e si rischia la schiavitù, nel centro-nord Europa. La Francia, che non è la disubbidiente Ungheria del fascista Orban, (quest’ultimo non a caso elogiato dalla Le Pen) non sta accettando il contingente di immigrati a lei riservato dalla Merkel. Problemi di politica interna. Già, c’è chi può e chi non può, in questa già disgregata Unione.
L’inglese Cameron del Brexit, pur avendo sganciato qualche misero milioncino a Hollande nel suo incontro di giorni fa a Amiens per far rimanere i rifugiati in Francia, sta più tranquillo ha un muro di frontiera spesso burrascoso che si chiama Canale della Manica, il suo problema invece è l’enorme migrazione interna e legale dei cittadini comunitari, soprattutto polacchi e rumeni. Ma anche francesi e italiani. Oltre quelli mondiali del Commonwealth. Il suo paese non è comunque esente da una xenofobia in crescita. Un popolo in difficoltà fa sempre bene alle destre, trova facilmente il capro espiatorio che gli viene indicato.

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